Fu del Vicerè Emanuele Filiberto di Savoia, nel 1622, l’idea di creare una cortina continua di splendidi palazzi monumentali lungo tutta la curvità portuale. Dal 1622 al 1624 la “Palazzata” venne edificata su progetto dell’architetto messinese Simone Gullì collaborato da Antonio Ponzello. Il Gullì, nella sua città natale, aveva anche realizzato la chiesa a pianta centrica di Santa Maria della Grotta e il baldacchino in bronzo dorato sull’altare maggiore della Cattedrale. Alto 24 metri con un rapporto costante fra pieni e vuoti, il lungo edificio della “Palazzata” di circa 1500 metri venne pensato con un’impostazione prevalentemente pittorica e per tale motivo il suo autore contenne al massimo i movimenti degli aggetti di facciata. Gullì applicò, inoltre, oltre al cornicione terminale, cornici marcapiano intermedie, allo scopo di accentuare la già marcata orizzontalità del complesso architettonico.Con le sue 18 porte monumentali munite di battenti, la “Palazzata” celebrava dell’orgogliosa città seicentesca il destino marittimo, rappresentando un prototipo che influenzerà architetture simili nel secolo successivo in Europa, come il Royal Crescent di Bath in Inghilterra, opera dell’architetto John Wood (1767-75). Crollata in massima parte nel terremoto del 5 febbraio 1783, Johann Wolfgang Goethe ne vide le rovine durante il suo viaggio in Sicilia nel 1787. Quasi subito si pensò di riedificare questa sontuosa architettura e vennero pubblicati i primi consigli per la sua ricostruzione: il messinese Corrao voleva fosse “[…] rifabbricata con sodezza e in modo che potesse meglio resistere agli urti di futuri terremoti”. Lazzaro Spallanzani suggeriva che dovesse “[…] rifabbricarsi con l’ossatura di legno, stretta e combaciantesi in guisa che, al traballare del terreno, tutto quanto concepisse il movimento”.Nel 1799 venne bandito, così, un concorso di progettazione vinto dall’abate architetto messinese Giacomo Minutoli (1765-1827), l’unico che riuscì ad evocare la “Palazzata” di Simone Gullì interpretandone, con un linguaggio già arricchito di linfe vanvitelliane, la più intima ed efficace sostanza. Egli, infatti, aveva portato nella sua città natale il linguaggio compositivo neo-cinquecentista sulla scia delle correnti architettoniche contemporanee romane che furono, appunto, quelle del neo-cinquecentismo di Carlo Marchionni e del nuovo classicismo di Carlo Vanvitelli. I lavori ebbero inizio il 13 agosto 1803 secondo un progetto definitivo che seguiva le disposizioni generali, già impartite il 27 agosto 1801 e relative alla lunghezza, all’altezza (poco più di 20 metri), alla divisione in quattro ordini di aperture, al materiale da costruzione che doveva essere in marmo grigio di Bauso, marmo violaceo di Taormina e pietra calcarea da taglio di Siracusa.Il Palazzo Senatorio occupava il centro di tutto il sistema architettonico che presentava 36 porte monumentali senza battenti (il doppio della “Palazzata” seicentesca) e, caratteristica particolare, il piano terreno era decorato da un poderoso paramento bugnato mentre i piani superiori erano uniti da un solo ordine di colonne: il tema era quello frequente, dal ‘500, nell’architettura italiana e da qui diffusasi in Inghilterra attraverso l’architetto Inigo Jones, agli inizi del ‘600. Fonti di ispirazione furono, per Minutoli, la Reggia di Caserta del Vanvitelli, il Palazzo Ducale milanese del Piermarini e le architetture palermitane del Marvuglia. Dopo il terremoto del 28 dicembre 1908 rimase in piedi un terzo della “Palazzata” dalla Regia Dogana al Palazzo Municipale, abbattuto poi definitivamente, con una carica di 146 potentissime mine, il 31 luglio 1915 insieme all'orgoglio e al vanto di un'antichissima e gloriosa città . (Nino Principato)